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Solo la memoria alberga gli anticorpi contro il male storico: Jorge Majfud, "El mismo fuego"

Immagine del redattore: Orizzonte AtlanticoOrizzonte Atlantico

Ci sono letture che è saggio frequentare ogni qualvolta si incappi in uno di quei crocevia della storia dove in gioco vi è una qualche metamorfosi della gabbia del potere. Sono letture che definirei profilattiche; letture che, inoculando in noi, esseri empatici, tracce di vissuti alieni (“uno non vive soltanto la propria vita, bensì, in qualche segreta forma, molte altre vite”), hanno il potere di renderci in qualche modo veggenti, ossia interpreti un po’ più desti di noi stessi e dei sentieri del presente.

El mismo fuego di Jorge Majfud, romanzo vincitore della VII edizione del Premio Letterario Internazionale Indipendente, è una di queste letture, che peraltro - e non a caso - è un’autobiografia esistenziale, come lo stesso autore dichiara. Se la trama del romanzo ricapitola la coscienza di José Gabriel, un piccolo uruguaiano dalla memoria ipertrofica imbrigliato nelle vicende della dittatura militare e che, appunto, ricorda troppo e troppo dettagliatamente fino al punto di dare a tratti l’impressione di indovinare il futuro, il soggetto, per così dire metafisico, del romanzo stesso è proprio la memoria in quanto bussola del vivere al contempo individuale e collettivo.

Ricorre difatti in quest’opera di straordinaria universalità quell’ambiguità strutturale, cara a Jorge Majfud, fra passato e futuro che un altro romanzo (El mar estaba sereno), in cui espressamente si trattava del tema della relazione fra soggetto e passato, aveva cristallizzato nella formula oltre il futuro c’è il passato: dal momento che ciò che viene è più o meno inscritto in ciò che è stato e che solo nella memoria può aver luogo un qualche sapere, allora l’unica difesa contro la tendenza del futuro - che nessuno può vedere perché “ci arriva alle spalle” - a dispiegarsi come destino inevitabile e incomprensibile è mantenere sempre gli occhi fissi dinanzi a sé, cioè appunto sul passato. “Uno può vedere il passato di fronte a sé”, spiega José Gabriel, “e più chiaramente lo vede più gli sarà facile indovinare ciò gli sta dietro, pur senza poterlo vedere. Io posso veder succedere molte cose, come in un film o in un circo. Anche gli altri possono vedere quelle stesse cose, però le dimenticano, cosicché quando le cose tornano a succedere una seconda volta le confondono con la divinazione del futuro.”

Come a voler ribadire che solo la memoria, singolare e condivisa, alberga gli anticorpi contro il male storico, e che se non si distogliesse mai lo sguardo dal passato non sarebbe forse poi così difficile infrangere l’andirivieni apparentemente cieco del pendolo della storia fra libertà e schiavitù, fra utopia e distopia. Forse José Gabriel ha ragione solo in parte quando crede di giungere alla comprensione di “qualcosa di ovvio”, qualcosa che a ben vedere ovvio non è per nulla: “la libertà non esiste; piuttosto è un’idea astratta, ideale, un mito o un’utopia al pari del Paradiso, e, se esiste, non è di questo mondo. Esiste solo la liberazione, quell’ineguagliabile esperienza di sottrarsi a qualcosa o a qualcuno dopo essere stati impossibilitati a farlo durante molto tempo, così come un bicchier d’acqua diviene un piacere infinito quando si è camminato per ore assetati sotto il sole di un deserto”.

Alberto Asero


Jorge Majfud, "El mismo fuego": Premio Letterario Internazionale Indipendente, 2019, settima edizione: narrativa, primo premio (narrativa edita)

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