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La verità è forse antipatriottica?

Immagine del redattore: Alberto AseroAlberto Asero

Propongo di seguito la versione integrale, da me tradotta in italiano, di un interessante articolo a firma di Jorge Majfud. Non sfuggirà come i punti cardinali dell'analisi siano rilevanti ben al di là della specifica realtà statunitense alla quale l'autore si riferisce. Al fondo riporto il link all'originale.

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In un suo discorso al National Archives Museum, il presidente Donald Trump propose la creazione della 1776 Commission allo scopo di dar vita ad un programma educativo maggiormente “pro-statunitense”, denunciando “un movimento radicale” frutto di “decenni di indottrinamento da parte della sinistra nelle scuole e nelle univeristà” che "induce gli studenti a vergognarsi della propria storia”. 

Per dare un'idea, s'immagini un cancelliere tedesco che chieda che i giovani del suo paese non si vergognino dei crimini inscritti nella loro storia. Siamo qui in presenza, evidentemente, di un'altra trappola linguistica volta a disegnare la cornice stessa del dibattito. Non si tratta dei “crimini della propria storia”, quanto piuttosto dei “crimini della storia del proprio paese”. Difatti, non siamo responsabili dello sterminio di indiani, negri, messicani e degli abitanti di tutti quei paesi tropicali in cui la "razza superiore" (sic!) sbarcò con i suoi marins per imporre sanguinarie dittature in nome della libertà. Coloro i quali si ritengono padroni dei propri paesi useranno, quale strategia linguistica e simbolica, l'identificare delle loro idee con quelle dell'intera nazione. Parlando di un intervento che ha avuto luogo cent'anni fa nelle Filippine o qualche anno addietro in Afghanistan, parte di questa confusione strategica consiste nell'includere i cittadini d'oggi nel “noi”, senza però che questi abbiano in alcun modo preso parte alla decisione di esecuzioni e bombardamenti. Non siamo responsabili di qualcosa alla cui approvazione non abbiamo mai preso parte; siamo responsabili di come rispondiamo alle peggiori verità del passato e del presente. E qui sta la trappola: se i cittadini si sentono responsabili di qualcosa che non hanno commesso, la maggioranza lo difenderà fino alla morte e la storia si ripeterà. Non a caso, l'ardente dibattitto negli Stati Uniti persiste incagliato alla Guerra Civile del 1861.

Coloro i quali dovrebbero garantire la libertà accademica sono vecchi. Un decennio fa, i senatori conservatori degli stati del sud - partitari della Teoria della Creazione in sette giorni quale via per “bilanciare” il crescente dominio della Teoria dell'Evoluzione - vollero obbligare le università a insegnare “fatti, non teorie”. In appena tre parole diedero prova del grado di barbarie intellettuale al quale sono soliti approdare gli uomini di potere, avanzando poi proposte volte a "bilanciare" il numero dei professori liberali (di sinistra) con docenti conservatori (di destra).

Naturalmente, questo è il luogo comune di quanti si riempiono la bocca con democrazia e libertà, odiando però tanto la democrazia quanto la libertà quando a reclamarle sono altri. Il modello del presidente Trump è il presidente Andrew Jackson (“l'uomo meno preparato che ho conosciuto in tutta la mia vita, senza nessun rispetto per la legge o la costituzione”, secondo Thomas Jefferson). Jackson, noto come Indian Killer, deve la sua celebrità al fatto di aver sottratto i territori agli indigeni per espandere la schiavitù verso ovest e consegnare le nuove terre ai suoi fattori bianchi, i quali erano, a detta sua, “i veri amici della libertà”.

Per le stesse ragioni, quanti ora si lamentano dell'“indottrinamento di sinistra” nelle scuole e nelle università, non trovarono nulla di male in quell'indottrinamento sistematico di destra a cui si deve l'imposizione di falsità e miti storici che, come il Manifest Destiny, durano da decenni e secoli.

Su di un punto, però, hanno ragione. Nelle università di quasi tutto il mondo, il numero di professori progressisti è chiaramente superiore a quello dei professori conservatori. Né avviene diversamente in ambito culturale fuori dalle università. Ciò che non è difficile da spiegare. Sin dal Rinascimento, gli intellettuali si opposero e criticarono il potere. Quando, da un lato dello spettro ideologico o politico, vedi gli esponenti del mondo della cultura, guarda dalla parte opposta per trovare il potere industriale; coloro che controllano i capitali, i media e gli eserciti e che hanno il potere di assumere e licenziare arbitrariamente migliaia di lavori.

Alla radice di questa separazione vi sono poi altre più ovvie ragioni. Chi ama il denaro non erige di certo a modello dei poveri falliti come Leonardo da Vinci, Albert Einstein o Charles Bukowski. I geni non diventano influencers in un mondo dominato dai valori imposti dall'ideologia del capitale e della quantità (quantità di subscribers, Lamborghini...). Chi ama il lusso, chi adora far bella mostra delle sue belle tette in qualche spiaggia di Miami o dal suo lussuoso appartamento a Punta del Este, di certo non dedicherà dieci ore tutti i giorni a studiare statistica. Chi vagheggia auto di lusso o ambisce al potere che esprime uno spazioso ufficio dirigenziale, di certo non farà l'insegnante. Chi ama il denaro, il prestigio politico e sociale che da questo emana ed il sorriso di ragazzine in cerca di lavoro per sopravvivere, difficilmente si dedicherà a scrivere un romanzo, un saggio sulla storia del Guatemala o un articolo sulla dinamica dei fluidi.

La modesta ricerca di verità scomode viene tacciata di “propaganda di sinistra” o “indottrinamento marxista”. La propaganda di destra è a tal punto penetrante che, al pari dell'aria, nemmeno si vede. Poco o nulla viene detto a proposito degli investimenti multimilionari in pubblicità e fake news che le lobbies dispongono, per esempio, al fine di diffondere teorie e voci sprovviste della benché minima base scientifica, per negare la realtà del cambio climatico o per fare a pezzi programmi di salute pubblica.

La demonizzazione dei critici fa parte della strategia di propaganda dei padroni del potere e del denaro, cosa più volte dimostrata dai fatti, come per esempio la Church Commission del Senato degli Stati Uniti negli anni '70: la CIA investì milioni di dollari per organizzare “proteste popolari” e per riempire i giornali degli Stati Uniti e dell'America Latina di articoli finalizzati ad influenzare l'opinione pubblica. Grazie a siffatta ingegneria, milioni di persone libere continuano a ripetere, fanaticamente, idee disegnate dall'Agency decenni prima. L'investimento multimilionario in comunicazione e cultura a fini politici ed ideologici continua, pur generando meno documenti segreti e con molti più milioni di dollari di prima.

Pochi giorni fa, studiando la Guerra ispano-statunitense, ho preso a chiedere ai miei studenti cosa sapessero di detta guerra; ho ottenuto come unica risposta (non metto in dubbio la loro totale onestà) che tutto cominciò con l'affondamento dell'USS Maine a La Habana nel 1898 ad opera degli spagnoli. Nonostante la flagrante contraddizione con le testimonianze degli stessi sopravvissuti, scartate da varie ricerche, e nonostante il riconoscimento del fatto che si trattò di una macchinazione del New York Journal e del New York World per vendere più copie dei rispettivi giornali, questo mito continua ad essere l'unica verità ammessa. Il mito patriottico è più reale della realtà e la verità è antipatriottica.

Quegli stessi signori e signore che tanto amano il potere e il denaro e sono soliti opporsi all'intervento del governo (dello Stato) nella vita pubblica, sono poi i primi a tirare in ballo il governo quando si tratta di regolare le verità per loro sconvenienti, intervenendo nell'educazione ed in qualunque linea di ricerca libera ed indipendente. Il presidente chiamò quest'indipendenza “abuso infantile”. Nelle università lavoriamo con giovani adulti e a ciò essi danno il nome di indottrinamento. Nelle sette e nelle chiese d'ogni tipo lavorano con bambini innocenti e a nessuno viene in mente di intervenire dinanzi a questo genere di indottrinamento e ancor meno di definirlo “abuso infantile”.

L'idea stessa che un presidente creda di avere il potere di stabilire cosa deve essere insegnato nelle scuole e cosa deve essere oggetto di ricerca da parte dei professori nelle università è primitiva e fascista. Forse che le menzogne o le verità controllate sono più patriottiche della cruda verità? Non sarà che c'è della libertà nella verità, per orribile che sia, e che è proprio questo ciò che il potere tanto teme?

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