Il rimodellarsi dei processi di redazione e produzione occasionato dalla migrazione verso la tecnosfera delle case editrici anche di piccolissime dimensioni e l'imperare oramai come ovvia, e da decenni, di una visione industriale e mercatista dello sviluppo di marchi e cataloghi editoriali - visione focalizzata dunque più sul risultato commerciale che sul patto morale ed intellettuale fra editori ed autori, da un lato, e testi e idee, dall'altro - hanno inaugurato una stagione dell'editoria che vede nell'inedita quanto apparente sovrabbondanza di opportunità di pubblicazione e nella ridefinizione della natura, del ruolo e del senso dell'essere editore due delle sue più fondamentali cifre.
L'esito più vistoso (e preoccupante) di questa ristrutturazione tecnocratica e mercatista del mondo editoriale è riscontrabile nell'ossessione della "novità" e nell'abbassamento della speranza di vita di cui gode, oggigiorno, ogni nuovo libro pubblicato. Il problema di quest'impostazione di fondo emerge chiaramente quando si consideri che l'orizzonte di un'opera letteraria non è (quasi) mai il freddo ed impersonale qui ed ora reso di fatto obbligatorio dalla declinazione commerciale dell'edizione. Il tempo di cui un libro ha bisogno per farsi conoscere, riconoscere e apprezzare (ma lo stesso discorso vale anche per la firma di uno scrittore indipendente), obbedisce infatti (e per fortuna!) a regole "umane, troppo umane" che hanno a che vedere più con il sedimentare lento di nuove idee nel tessuto tendenzialmente chiuso della weltanschauung di persone e collettività che con meri fattori "di contorno" quali la tecnologia impiegata per produrre e distribuire il prodotto libro, o con il modello di sviluppo del mercato editoriale nel suo complesso, o persino con le strategie ed i mezzi impiegati nella promozione del singolo titolo. Non va poi perso di vista il fatto, sistematicamente occultato dall'ordine dominante del discorso, che la promozione di un libro ha come obiettivo essenziale la vendita dello stesso, non la sua fruizione e meno ancora il suo apprezzamento, fino al limite - a nostro giudizio paradossale quando non addirittura offensivo nei confronti dell'autore - di considerare "di successo" un libro molto venduto, ancorché letto da pochi e realmente apprezzato da pochissimi. Il libro - questo è il punto sul quale è importante soffermare l'attenzione - ha una natura complessa, costituzionalmente irriducibile alla dimensione del prodotto: i testi vivono nel tempo e nello spazio delle idee, non nel tempo e nello spazio dei commerci; il tempo del libro è quello lungo dell'assimilazione.
Naturalmente, non stiamo sostenendo, né avrebbe alcun senso farlo, che l'editoria dovrebbe dismettere ogni interesse commerciale; tutt'altro: riteniamo che la peculiarità di un'impresa culturale sia definita proprio dalla sua capacità di coinvolgere in una spirale virtuosa due interessi che guardano a punti cardinali opposti.
Intanto che l'attenzione della quasi totalità degli attori del settore ha accettato come ovvio l'essere monopolizzata dai quesiti tecnici ed economici che il settore stesso pone in essere (e che, ovviamente, non possono essere ignorati, ché si tratta pur sempre di un mercato), passa completamente inosservato il fatto che l'esito dello scollamento fra dinamiche commerciali e spinte morali ed intellettuali è dei più perversi: un'editoria che accetta di appiattire il destino di un testo sul suo risultato commerciale ha snaturato non solo il testo ma anche se stessa, ed è un contenitore sfavorevole alla coltivazione di opere e firme. Il futuro dell'editoria ci pare perciò si mostri guardando indietro più che avanti: è regresso più che progresso. Noi lo intravediamo nel deciso ritorno (non necessariamente romantico, va chiarito) alla vocazione artigianale che per secoli ha animato lo scegliere, il fare e l'aver cura degli ospiti della propria biblioteca; nel patto morale ed intellettuale che concentra autore ed editore attorno ad un testo, punto di confluenza di una visione del mondo, e che costituisce l'editore nel suo ruolo non già di mercante, bensì in prima istanza di critico, di ambasciatore di opere che richiedono di essere sviscerate, comprese e svelate, prima ancora che promosse e vendute. Nel tempo lento, si diceva, dell'assimilazione.
Alberto Asero
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